giovedì 23 maggio 2019

                       
 
Il geco

Racconto tratto dal libro: "Vaghezza nel soffio vitale"

Il suo “gracchiare” e la sua forma da essere preistorico
parevano prendersi gioco di me e del mio silenzio, con
movimenti ad intervalli e varietà di richiami.
L'avevo visto, la sua forma mi sprofondava in certe
fantasie in preda al terrore.
Grinzoso, squamoso come un coccodrillo in
miniatura.
Pur sapendo del fatto positivo che i gechi si cibano di
insetti e larve dannose per l'uomo, non riuscivo ad
impietosirmi, lo consideravo un nemico, troppo il
turbamento provocato.
Il camino non utilizzato era la sua dimora, da lì aveva
preso il colore nero della fuliggine, difficile da scovare,
troppi appiccagnoli.
Non avendo idea di come agire, ascoltavo stizzito in
attesa.
Le soluzioni erano due: cercare di farlo uscire di casa o
la sua morte.
La sua morte mi pareva la giusta rivalsa per il
profondo disturbo che mi procurava.
Lo immaginavo contorcersi sotto qualche arma che mi sarei inventato da lì a poco.
Ero arrivato a tanto ribrezzo senza considerare che era
un essere vivente mansueto ed innocuo ma temevo
che, lasciandolo in vita, sarebbe rientrato in casa, che
dopo anni di abbandono ormai considerava sua, e ci
viveva tranquillo.
Avevo quindi deciso per la sua morte cospargendo il
suo habitat e i passaggi di veleno per insetti, unica
arma in mio possesso.
Finita l'operazione, pazientemente, attesi mentre la
notte trascorreva insonne.
Non passò molto che si sentirono di nuovo i suoi
versi, ancora; mi sentivo deriso e rabbioso, non potevo accettare che un essere del genere dovesse
sopravvivere alla mia intelligenza e fantasia: un geco!
Come non averci pensato prima? La colla per i ratti!
Lo vedevo stremato, nel tentativo di liberarsi, come
succede ai ratti che, più cercano di liberarsi e più si
impastoiano... sì, ma dove prenderla a quell'ora della
notte?
No, il tormento doveva avere una fine prima dell'alba,
un duello settecentesco a tutti gli effetti, pensai.
Intanto il suo “gracchiare” continuo aumentava
sempre più la mia irritazione.
Ora insolita, ma non per la mia insonnia, mi
accomodavo sul divano, sicuramente impaurito dalla
mia presenza non oserà muoversi”, pensavo: ma sulla
parete in perpendicolare gracchiava e osservava.
La sensazione indubbia, ora, è che tutti e due ci
sentiamo i padroni legittimi della casa, il mio ritorno
dopo cinquant'anni, per lui, un’intrusione, ma le forze
non sono alla pari; un po' comincia a farmi pena e a
vederla come una mia sopraffazione, perché alla fine
avrò la meglio... la forza e la lucidità vengono meno, le ore che scorrono e mi portano a più miti pensieri.
Ogni essere vivente ha diritto ad una dimora e
ambedue avremmo, forse dovuto condividere... no!
Non averci pensato prima!!! Il DDT!!!
Ed ecco emergere nuovamente l'idea mortale (vatti a
fidare dell'essere umano in certe circostanze) e,
irrorato il camino di una quantità eccessiva per essere
sicuro di colpire, a rischio di intossicazione, mi metto
in attesa.
Chiudo la porta creando una sorta di camera a gas e
vado a letto soddisfatto, la mattina lo troverò
stecchito.
Al risveglio, in tarda mattinata, guardai ovunque,
stupito nel non trovare la mia vittima, ripensai
all'operazione effettuata.
Non c'era, quindi era ancora vivo... il DDT aveva
distrutto tutto ciò che per lui era cibo, come avergli
svuotato la dispensa. Avrà cambiato il suo territorio di
caccia e di dimora... non ero affatto dispiaciuto, il
riposo mi aveva favorito, ero contento che fosse vivo
perché, se pure squamoso, nero, aveva una sua
funzione in natura che andava rispettata, come tanti
altri esseri, che l'essere umano spesso e volentieri,
preso dal suo egoismo, non rispetta.

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