Bonarcado
Le felci, rigide come in un fantastico sogno, muschio
raso sui muretti a secco, sughereti in pace col tempo, e
il ricordo di lui. Mi accompagna attraverso quelle
campagne, quel ricordo, come un fiore che tarda a
sbocciare, come un sole celato da nubi, come pioggia
che pesa su un mondo riarso. Ne aspiravo la palpabile
presenza. Tanto mi pervasero le sue scritture.
“Eccola...! Volevi conoscere la nipote di Gramsci...?
Eccola è quella signora!” Mi trattengo e sto lontano,
scosso nel profondo. Giovanni, l’amico del posto, sa
del mio desiderio, sa del mio tremore. La sua anima è
innanzi a me, un suo sangue ancora scorre, non è più
parola di carta, ma vento, di nuovo, burrasca, che
scuote il mondo. Vivo, per me, vivo ancora. Non
muovo un muscolo, la guardo andare fino alla fine del
viottolo. L'istinto di correrle dietro è forte, ma non
una fibra del mio essere risponde. Non ci fu altra
occasione, il mio itinerante lavoro cercava piazze
paganti, il mio spirito resta in debito di un saluto, di
domande, forse, di uno scrutare somiglianze, certo.
Restano i muschi e le felci a ricordarmi che storia è
solo ciò che muore, impeto alla vita e significato del
mondo ciò che tuttavia dà luce agli occhi dei viventi.
Gli occhi di quella donna, forse, erano i suoi, neri,
dolci, penetranti.
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